Il gruppo Tarantula: "I muri parlano per chi non ha la voce alta in un mondo di prepotenti"
MONZA - Avevano annunciato l'intervento ai giardini del Nei per lasciare il segno sul muro con le loro bombolette. E lo hanno fatto in pieno giorno, alla luce del sole. Dopo le polemiche, però, i ragazzi del gruppo Tarantula spiegano cosa li ha spinti ad agire
“Non siamo artisti, non siamo street artists, non siamo politicanti né membri di una pseudo associazione cittadinista dedicata al recupero dei quartieri: non siamo nulla di tutto ciò. Siamo ragazzi come tanti altri: giovani che la sera vivono le strade e i parchetti spesso in compagnia di qualche bomboletta. Non siamo dunque qui per convincere nessuno della nostra opinione, sentiamo semplicemente il bisogno di prendere una posizione, di schierarci e di farlo in maniera chiara e netta”.
Così inizia la pubblicazione intitolata “Vandali” e postata nei giorni scorsi on line sul profilo facebook del gruppo Tarantula, i ragazzi che sabato scorso erano saliti alla ribalta delle cronache per aver annunciato e realizzato un intervento ai giardinetti del Nei riempiendo con graffiti e scritte i muri ripuliti poco più di un mese prima durante le “Pulizie di primavera” dal gruppo “Fight the writers”.
Un evento che aveva scatenato la polemica: i ragazzi, sempre tramite i social e volantini avevano annunciato il loro intervento con anticipo, richiedendo apertamente che non venissero scattate fotografie ai giovani alle prese con le bombolette e che fossero tenuti lontani fascisti, sessisti e soprattutto le forze dell’ordine appellate con il titolo dispregiativo di “sbirri”. Un cittadino aveva segnalato al Comune quello che sarebbe successo, ma quel giorno nessuno è intervenuto e i ragazzi hanno potuto lavorare tranquillamente. Poi il giorno dopo è scoppiato il putiferio con una situazione difficile da gestire in piena campagna elettorale.
In settimana la decisione dei ragazzi di mettere nero su bianco la propria posizione, con un post sul proprio profilo facebook, spiegando soprattutto la propria concezione di vandalismo con la quale vengono etichettati e il non condividere l’idea di distinguere in writer in due categorie: quelli buoni che si scatenano sui muri o anche nei musei previa autorizzazione ricevendo l’appellativo di “artisti di strada” e quelli che invece agiscono spesso al calar del sole, senza chiedere permessi, compiendo in reato.
“Perché il vandalismo per come è nato – si legge ancora nel documento pubblicato sulla pagina facebook – non ha bisogno né di musei né di critici d’arte. Il vandalismo è vedere la propria tag sul muro vicino a casa, passare la notte ai bordi della ferrovia per lasciare la propria firma sopra un treno. Il vandalismo rifiuta la legge come anche la polizia, partendo dall’autorganizzazione in gruppo, con i propri fratelli”.
E i giovani, orgogliosi di essere vandali nella loro concezione del termine, spiegano senza troppi giri di parole le dinamiche che ci sono dietro all’impugnare una bomboletta e riempire di tags e di graffiti il muro dell’altro. “Le ragioni di queste azioni note come “vandalismo”, sono svariate e non sentiamo il bisogno di distinguerle in classi più o meno nobili – precisano – Ciò che ci accomuna nello svolgere questo ragionamento è il disprezzo per una società cieca che distorce il naso davanti a del colore o ad una scritta ma che non proferisce parola su ciò che la riguarda fatti alcuni passi lontano dal muro di casa propria. Il solito discorso del proprio cortile o dei propri polli, il solito “fallo sul muro di casa tua””.
Ma il compiere un gesto punito dalla legge per questi ragazzi ha un valore più profondo, una ribellione contro la società, contro le istituzioni, contro l’ordine predefinito e il rispetto delle regole. “Farlo è impossessarsi dello “spazio pubblico” e privato – spiegano – dilagare ed espandersi, riprendersi lembi di agibilità e tirarli con tutte le proprie forze, opporsi alla cementificazione forzata di una società che pensa solo ad evolvere e che tende ad escludere. Da sempre i muri parlano per chi non ha voce sufficientemente alta in un mondo di prepotenti”.
Questo messaggio forse è difficile da comprendere dai paladini del decoro, dai semplici cittadini che la mattina svegliandosi trovano il muro di casa o la saracinesca del negozio riempita di scritte e che, senza averlo preventivato, si vedono costretti e sborsare centinaia di euro per riportare il muro all’antico colore.
I giovani del collettivo spiegano bene anche i limiti dell’espansione della cosiddetta street art nella quella vengono inseriti quei writers che legalmente danno libero sfogo alla propria creatività sul muro messo a disposizione della società civile. “Mentre ai writers interessa solo il riconoscimento da parte di altri writers – spiegano ancora nel loro documento – la street art vuole sedurre quanti più spettatori possibili, arrangiati da ogni dove, che si improvvisano critici d’arte e tutori del gusto comune a cui spetta la definizione del bello e del lecito. Il vandalismo nasce slegato da un’ottica di commercializzazione e tale deve rimanere fuori dai salotti borghesie, dai musei che ne richiedono la decorazione con un linguaggio che fino a poco tempo prima disprezzavano”.
Lanciando una stoccata a chi li accusa con i loro interventi fatti ormai anche alla luce del sole di rovinare la bellezza della città. Ma per loro il loro il decoro è tutta un’altra cosa. “Riqualificare è dare una casa a tutti – precisano – rendere una città vivibile agendo in prima persona , creando legami e rapporti complici con chi ci circonda. Le spugnette le lasciamo ai politicanti che hanno bisogno di fare campagna elettorale e ai cittadini che abboccano, sentendosi in dovere di scendere in strada solo quando è il perbenismo ipocrita a fare la chiamata”.
B.Api.
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