Artigiani: un volto dell'arte

I maestri comacini. Artigiani e artisti assieme. Fu anche la loro concezione del lavoro, a condurre il medioevo verso l'umanesimo. Li mosse il desiderio di fare oggetti che durano. Accanto al desiderio di possedere oggetti che durano. Stati d'animo che potrebbero aiutarci ad uscire dalla crisi.

Crediamo di essere evoluti. Di saper scegliere. Probabilmente per un certo periodo della nostra storia italiana, è stato così. Poi abbiamo cominciato a dimenticarci che non tutto è uguale. A furia di subire una pubblicità che assordava e urlava,  abbiamo cominciato a convincerci che il numero (il prezzo) era ed è l’unica differenza, abbiamo dimenticato il qualitativo, il bello, la solidità, il particolare. E così, abbiamo perso un grande pezzo di noi e della nostra cultura. Del nostro stile. Prendi gli artigiani. Erano definitori della nostra realtà stilistica. Stanno morendo perchè noi abbiamo smesso di distinguere fra il loro fare valore e il fare quantistico di altri, che vengono magari da tanto tanto lontano a venderci le loro approssimazioni sottocosto.  Ci sentiamo evoluti. Ma siamo così miopi da uccidere la nostra cultura fattiva e creativa. Ci sono stati come vedremo qui, e ci sono ancora.

Insomma, anche oggi non è tutto uguale. C’è chi cerca il bello, altri il repertorio, la semplice riproduzione. Artigiani, così vicini all'arte... Artigiani artisti?

E’ così. Ed è sempre stato così. Perché se guardi alla storia che le cose non ha interesse a fingerle, si scopron tempi in cui non c’era un confine fra mestiere e arte, in cui anzi era il primo, l’artigiano, a descrivere la seconda, l’arte.. Perché il concetto di bello, di stile,  non esclude nessuna epoca e se guardi indietro nel tempo ti capita di trovare una estetica quando non ti aspetteresti di trovarla, e questo è sicuramente una speranza anche per l’oggi in cui per quanto riguarda bello e stile, beh, lasciamo perdere…

Non si sa se il loro nome derivi da Como o da “cum machines”, nel senso che per sollevare le loro opere usavano gru, argani o altri marchingegni. Di sicuro la loro zona era questa, cioè quel concetto di Como allargato che comprendeva anche la Brianza e Monza. Ciò che è certo invece delle arti dei magistri Comacini è che dall’ottavo al tredicesimo secolo furono fra i principali motori della rivoluzione artistica ed architettonica europea. La scrittura di questi artigiani-maestri era sulla pietra, materia inanimata che resero soffio artistico intuendo una profondità ed un vuoto capaci di  narrare e dando un “movimento” allo sguardo dell’uomo che nel passaggio fra romanico e gotico fu portato  in alto. Lassù.

Lasciando da parte  le righe descrittive da “Garzantina” che con la vita reale c’entrano poco, ciò che stupisce è come la concezione del bello di questi “maestri” possa esser nata in una realtà “cruda” come quella medioevale.

Al di là dell’iconografia fiabesca del c’era una volta di Shrek, quando descriviamo l’uomo attorno all’anno mille stiamo disegnando una società lacera, affamata, sporca e violenta in cui la vita media era sotto i 40 anni e in cui metà dei bambini morivano prima dei 5 anni. Mentre le campagne erano soggette ad ogni sopraffazione, le città erano ricettacolo di pestilenza e cloache a cielo aperto, tanto che ad annunciarle, chilometri prima dell’incontro con una architettura quasi interamente di paglia, fango e legno, era  l’odore putrido. Allora la Brianza probabilmente era campagna (poca) e selva (molta) anche se qua e là, lungo i fiumi, qualche realtà cittadina c’era. Pugni di case, legno e poca pietra, anche per le città (Monza ma anche Seregno, Desio etc…) unità assai indifese, perché attorno all’anno mille l’arbitrio era la legge, e la formazione delle signorie furono semplicemente l’attenuazione di questa instabilità attraverso una “forza” delegata ma a puro uso e consumo dei commercianti e degli artigiani, in una società in cui gli unici ad essere garantiti erano coloro che producevano (con qualche eccezione tipo le confraternite  e le opere pie) ma fino ad un certo punto perché le frequenti pestilenze, come la sfiga, non conoscevano barriere di censo. Una società analfabeta ed ignorante per la quasi totalità, dove la denutrizione e le malattie dei molti erano la costante e il sopravvivere l’unico interesse, questo era il terreno su cui edificarono la loro arte i maestri comacini, che ad un certo punto passarono dal sopravvivere al rappresentare attraverso la pietra. Questi “magister”, quasi tutti padani, quindi, erano essenzialmente dei nomadi (non è che il binomio padani nomadi tiri molto, ma scusatemi, era così) che portavano l’“arte” in ogni luogo venisse richiesta.

Quale fu il primo mezzo di mediazione scelto dai maestri comacini è difficile da dire, anche se, probabilmente fu semplicemente il fatto che si ponevano l’orizzonte di  fare cose belle, eleganti, secondo il loro genio estetico capaci di meravigliare quella umanità lacera, spinta innanzitutto a sopravvivere, che nonostante i bisogni primari, intorno all’anno mille, accettò di stupirsi. “La bellezza è la meraviglia delle meraviglie” diceva Oscar Wilde. Andrebbero scoperte le opere sulla pietra medioevali. Ce ne sono tante, attorno a noi. 

Ma lasciamo il medioevo, adesso che la Brianza non è più qualche casa di paglia lungo il fiume, e chiudiamo come abbiamo aperto. Al presente. Perché anche oggi, bisognerebbe avere l’occhio per individuare quelle attività artigianali capaci di darci uno stile.

Sono quelle più capaci di descrivere una differenza, fra noi, e tutti gli altri. Perché alla fine, il bello è qualcosa che si può rappresentare. Nel medioevo con la pietra, oggi con tutto ciò che non è ovvio o repertorio,  legno, stoffa, oro o qualsiasi altra materia sia…