Il calcio vero non è la Champion League
Ti fanno vedere il derby che ci sarà in tv, e poi ti dicono che vedendolo potrai dire: io c'ero. E a nessuno sembra strano, eppure è assurdo. Io c'ero? Sì, davanti aallaa tv. Boh!
Capiterà, eccome se capiterà. Con il progresso della grafica computerizzata, magari nel Fifa 2020 o giù di lì, dentro una qualche piattaforma di gioco, ad un certo punto nello schermo della nostra tv le partite a calcio virtuali dai videogiochi ci sembreranno perfettamente uguali a quelle del cosiddetto e autonominato grande calcio.
A quel punto, forse, i padroni del “football” si accorgeranno che neanche più servirà sprecare margini di guadagno per pagare i calciatori veri, con le cifre assurde che ancora pretendono.
Così, esattamente come in un film, i presidente chiederanno al mercato televisivo di fabbricare icone dai connotati utili e interessanti, ritratti vivaci e tarati per il pubblico del piccolo schermo globalizzato, pupazzi calciatori magari gestiti alla maniera dei talk show.
Il calcio lo si giocherà per dodici mesi, che tanto una supercoppa o simile da disputarsi ogni tanto te la inventi.
Ma non morirà il calcio, perché tranquilli, sicuramente quella roba continueranno a chiamarla sport, i “capi” non proporranno nessun cambiamento traumatico perché si sta sempre attenti a non violentare il sonno del pubblico con messaggi di rottura.
Solo che sport, e calcio, purtroppo quella roba non lo sarà più.
Sarà una sceneggiata, una finzione che nulla avrà a che vedere con il calcio.
Esattamente come le fiction televisive sui personaggi storici non hanno nulla a che vedere con la storia vera.
Forse allora qualcuno si accorgerà che quel “calcio” per cui ancora sta sprecando soldi, passioni, sentimenti e idee, in realtà, non esiste.
Roba televisiva, sempre più virtuale, digitale, tenuta assieme, scritta e gestita dai grandi capitali. Allora, magari, come risvegliati da un incantesimo, ci accorgeremo che non può esserci un calcio che non preveda il cattivo odore del sudore, uno sport senza errori, senza fantasia, novanta minuti sommersi da centinaia di ore di chiacchiere sul prima e sul dopo.
E forse, come svegliandoci dopo un Truman Show, davanti a l’Inter finto, al Milan digitale, scopriremo che lo sport vero non è quel piatto isterico servito dentro i nuovi colossei, gli stadi sempre più grandi ma sempre più vuoti, ma rinasce ogni volta sotto casa, magari negli occhi e nelle speranze dei nostri figli, momenti di entusiasmo che non sono il sogno di diventare ricchi, ma di essere felici dentro un gioco che piace.
Noi di Varedo Magazine cercheremo quello sport lì, quello semplice, ma vero. Scommettiamo che dentro i nostri confini esiste ancora?
Lo sport è meraviglioso, perché si tiene dentro tutto il bello e il peggio dell’uomo.
Lo sport è meraviglioso perché sa far ridere e piangere e tiene in ballo la nostra passione risvegliando la parte più profonda e autentica di te: i sentimenti.
E’ che sempre più ‘sto calcio televisivo pare orbo proprio di quella cosa lì: il sentimento.
Troppa apparenza, troppa chiacchiera, poca verità.
Racconta la moglie di Boninsegna, il centravanti dell’Italia messicana anni settanta quasi vincente a città del Messico e il nove storico di un’epoca nerazzurra, che un pomeriggio in cui in tv c’era l’Inter, si stupì di non vederlo davanti al teleschermo.
Lo trovò, invece, alla finestra, attento ad una partita di ragazzini che si svolgeva nel campo sotto casa sua.
“Non guardi l’Inter?” chiese
“Chi se ne frega, qui sono 1 a 1.”
Boninsegna era ed è uomo che ama l’inter. Boninsegna resta uomo che ha giocato e ama il calcio vero.
Chi se ne frega dell’Inter alla tv…. Già
A quel punto, forse, i padroni del “football” si accorgeranno che neanche più servirà sprecare margini di guadagno per pagare i calciatori veri, con le cifre assurde che ancora pretendono.
Così, esattamente come in un film, i presidente chiederanno al mercato televisivo di fabbricare icone dai connotati utili e interessanti, ritratti vivaci e tarati per il pubblico del piccolo schermo globalizzato, pupazzi calciatori magari gestiti alla maniera dei talk show.
Il calcio lo si giocherà per dodici mesi, che tanto una supercoppa o simile da disputarsi ogni tanto te la inventi.
Ma non morirà il calcio, perché tranquilli, sicuramente quella roba continueranno a chiamarla sport, i “capi” non proporranno nessun cambiamento traumatico perché si sta sempre attenti a non violentare il sonno del pubblico con messaggi di rottura.
Solo che sport, e calcio, purtroppo quella roba non lo sarà più.
Sarà una sceneggiata, una finzione che nulla avrà a che vedere con il calcio.
Esattamente come le fiction televisive sui personaggi storici non hanno nulla a che vedere con la storia vera.
Forse allora qualcuno si accorgerà che quel “calcio” per cui ancora sta sprecando soldi, passioni, sentimenti e idee, in realtà, non esiste.
Roba televisiva, sempre più virtuale, digitale, tenuta assieme, scritta e gestita dai grandi capitali. Allora, magari, come risvegliati da un incantesimo, ci accorgeremo che non può esserci un calcio che non preveda il cattivo odore del sudore, uno sport senza errori, senza fantasia, novanta minuti sommersi da centinaia di ore di chiacchiere sul prima e sul dopo.
E forse, come svegliandoci dopo un Truman Show, davanti a l’Inter finto, al Milan digitale, scopriremo che lo sport vero non è quel piatto isterico servito dentro i nuovi colossei, gli stadi sempre più grandi ma sempre più vuoti, ma rinasce ogni volta sotto casa, magari negli occhi e nelle speranze dei nostri figli, momenti di entusiasmo che non sono il sogno di diventare ricchi, ma di essere felici dentro un gioco che piace.
Noi di Varedo Magazine cercheremo quello sport lì, quello semplice, ma vero. Scommettiamo che dentro i nostri confini esiste ancora?
Lo sport è meraviglioso, perché si tiene dentro tutto il bello e il peggio dell’uomo.
Lo sport è meraviglioso perché sa far ridere e piangere e tiene in ballo la nostra passione risvegliando la parte più profonda e autentica di te: i sentimenti.
E’ che sempre più ‘sto calcio televisivo pare orbo proprio di quella cosa lì: il sentimento.
Troppa apparenza, troppa chiacchiera, poca verità.
Racconta la moglie di Boninsegna, il centravanti dell’Italia messicana anni settanta quasi vincente a città del Messico e il nove storico di un’epoca nerazzurra, che un pomeriggio in cui in tv c’era l’Inter, si stupì di non vederlo davanti al teleschermo.
Lo trovò, invece, alla finestra, attento ad una partita di ragazzini che si svolgeva nel campo sotto casa sua.
“Non guardi l’Inter?” chiese
“Chi se ne frega, qui sono 1 a 1.”
Boninsegna era ed è uomo che ama l’inter. Boninsegna resta uomo che ha giocato e ama il calcio vero.
Chi se ne frega dell’Inter alla tv…. Già