Il Tar contro il Comune: non è dimostrata l'esistenza della moschea

CESANO MADERNO - Con sentenza depositata settimana scorsa il Tar accoglie il ricorso dell'Associazione Culturale Islamica: tre persone trovate durante il sopralluogo non sono sufficienti per dimostrare che in via Udine venga esercitata attività religiosa o di culto.

Nulla da fare per l'amministrazione comunale nella controversa vicenda della presunta moschea al Villaggio Snia. Il Tar (Tribunale amministrativo regionale) dà ragione all'Associazione Culturale Islamica di Cesano Maderno: non ci sono elementi "per affermare con ragionevole probabilità che all'interno dell'immobile sia svolta attività religiosa o di culto, in contrasto con la destinazione urbanistica di zona. Il numero di persone rinvenute nei locali è infatti molto esiguo (tre) e non vi è neppure certezza che gli stessi fossero intenti alla preghiera".

Recita così la sentenza depositata in segreteria settimana scorsa. E di certo non mancherà di suscitare qualche polemica.

Al ricordo al Tar si era arrivati, dopo mille polemiche sull'utilizzo dell'immobile di via Udine 24, quando il Comune aveva notificato il 30 settembre una diffida: alla società Ar.Mu Srl quale proprietaria e all'Associazione Culturale Islamica di Cesano Maderno. Evidenziando, soprattutto, che in quei locali si esercitava attività religiosa o di culto, in contrasto con quanto previsto dal Pgt (Piano di governo del territorio) che per quell'area non preve quella destinazione urbanistica.

Il Tar, tuttavia, rileva che il Comune non è in grado di provare quanto sostiene. Indica che viene esercitata attività religiosa, ma nel sopralluogo del 4 ottobre 2014 è stato trovato uno dei referenti dell'Associazione Culturale. Qualche settimana più tardi, il 28 ottobre, nuovo controllo: presenti tre cittadini del Pakistan "raccolti in lettura verso una parete", insieme a un loro connazionale che non stava leggendo nulla. E nel verbale - sottolinea il Tar - "gli stessi agenti di polizia giudiziaria ammettono che non vi è certezza che i tre cittadini pakistani stessero pregando e che la considerazione sull'esistenza di un'attività di culto è frutto di una interpretazione personale dei medesimi agenti".

Insomma tre persone sono poche per pensare a un rito religioso soprattutto quando non c'è certezza su quanto stessero facendo in quel momento. Finisce così, con l'accoglimento del ricorso dell'Associazione Culturale Islamica. E con il Comune che dovrà sborsare 1.500 euro per risarcire le spese di lite. Chissà cosa ne pensano i cittadini.