Meda: Gianfranco, l'ultimo "tupista"
La mostra allestita nelle scorse settimane aveva riscosso un enorme successo: gli oggetti e i mestieri di una volta hanno affascinato i medesi che, con entusiasmo, hanno pian piano riscoperto le loro radici. Rina Del Pero, che in questo genere di lavori alla ricerca dell'identità locale, della cultura, della tradizione, della valorizzazione del territorio, dedica davvero del gran tempo, ci ha inviato un articolo.
Alla ricerca delle botteghe artigiane della Meda che fu, abbiamo scoperto u...
La mostra allestita nelle scorse settimane aveva riscosso un enorme successo: gli oggetti e i mestieri di una volta hanno affascinato i medesi che, con entusiasmo, hanno pian piano riscoperto le loro radici. Rina Del Pero, che in questo genere di lavori alla ricerca dell'identità locale, della cultura, della tradizione, della valorizzazione del territorio, dedica davvero del gran tempo, ci ha inviato un articolo.
Alla ricerca delle botteghe artigiane della Meda che fu, abbiamo scoperto una bottega di "tupista" ed è stato come entrare in un piccolo museo: sulle pareti, esposte come sculture preziose, le lamine dalle diverse forme creano un effetto di grande armonia.
Numerate con una sequenza quasi certosina, ogni piccolo pezzo ha la sua storia, la sua funzione, il suo ruolo, parte indispensabile dei nostri mobili di qualità. Solo una grande passione, cresciuta negli anni, quasi inconsapevolmente perché da quando Gianfranco è nato ha sempre respirato di quest’aria e ha avuto nelle orecchie il’suono’ di queste macchine: infatti, il padre Umberto faceva lo stesso lavoro e così pure il fratello Italo.
Nato nel 1940 in piaza paziria, l’attuale piazza Cavour, in de la curt del capelett, in duè stave la Mariett, ul Baraba e ul Lumbardin de la salumerie, da appunto Umberto, classe 1903 e da Anna Alberti di Birago, classe 19103 e secondogenito, dopo Italo classe 1934, racconta quasi timidamente i ricordi della sua infanzia: il ritorno del padre militare sul fronte jugoslavo e la mamma che semplicemente li presenta : ‘quest chi lìè ul to pa’, l’asilo frequentato durante il coprifuoco, la coperta che si prendeva per andare a nascondersi in su ul runch, la ritirata dei tedeschi in via Como e anche i primi approcci lavorativi nella bottega del papà.
Si lavorava per le migliori ditte medesi tra le quali la Salda e l’ingegner Besana, proprietario della villa di Via Luigi Rho diventata, a seguito del lascito, la casa di riposo medese. Passano gli anni e, mentre papà e Italo rimangono nella bottega sul Tarò, Gianfranco si trasferisce nella butega del Malisch, che confina con la casa dell’acquedotto del Gigin, in via San Giuseppe per poi aprire la sua bottega nel 1960 in Via Dalmazia. Si sposa nel 1968 con Lucia e nel 1969 arriva il primo figlio seguito nel 1974 dall’altro ai quali raccomanda ‘vivamente’ di non intraprendere la sua professione perché l’è un mesterasch. Il pericolo è sempre in agguato con queste macchine che hanno una potenza di 8000/10000 giri, l’attenzione deve essere sempre al massimo dell’impegno perché basta davvero poco perché succeda il danno alle dita.
La toupie - tupì, termine francese che tradotto letteralmente significa ‘trottola’ è una macchina simile ad una fresatrice verticale usata per eseguire cornici, smussi, incastri – così recita il Dizionario della lingua italiana Le Monnier ma ascoltare le spiegazioni di Gianfranco si apprende molto di più: esiste la tupì driza e la tupì storta, e fin qui ci arriviamo ma poi arriva la cua del ratt, la vertical tricatun, la mezalune, e tante descrizioni che coinvolgono ed affascinano. Ci mostra anche come realizza i suoi preziosi gioielli: da una balestra di acciaio, con l’utilizzo della smerigliatrice, si da forma e spessore affinché poi la lamina possa essere inserita nell’albero e dare così origine alla sagoma.
Negli anni ‘50 erano numerose le botteghe dei tupista e per citarne solo alcuni ricorda ul Mei , ul Ruminela, ul Claudin del Murnee, ul Martin e tanti altri che ormai non sono più ma che, come il nostro amico Barzarotti, hanno fatto parte della nostra storia e della nostra cultura.
Alla ricerca delle botteghe artigiane della Meda che fu, abbiamo scoperto una bottega di "tupista" ed è stato come entrare in un piccolo museo: sulle pareti, esposte come sculture preziose, le lamine dalle diverse forme creano un effetto di grande armonia.
Numerate con una sequenza quasi certosina, ogni piccolo pezzo ha la sua storia, la sua funzione, il suo ruolo, parte indispensabile dei nostri mobili di qualità. Solo una grande passione, cresciuta negli anni, quasi inconsapevolmente perché da quando Gianfranco è nato ha sempre respirato di quest’aria e ha avuto nelle orecchie il’suono’ di queste macchine: infatti, il padre Umberto faceva lo stesso lavoro e così pure il fratello Italo.
Nato nel 1940 in piaza paziria, l’attuale piazza Cavour, in de la curt del capelett, in duè stave la Mariett, ul Baraba e ul Lumbardin de la salumerie, da appunto Umberto, classe 1903 e da Anna Alberti di Birago, classe 19103 e secondogenito, dopo Italo classe 1934, racconta quasi timidamente i ricordi della sua infanzia: il ritorno del padre militare sul fronte jugoslavo e la mamma che semplicemente li presenta : ‘quest chi lìè ul to pa’, l’asilo frequentato durante il coprifuoco, la coperta che si prendeva per andare a nascondersi in su ul runch, la ritirata dei tedeschi in via Como e anche i primi approcci lavorativi nella bottega del papà.
Si lavorava per le migliori ditte medesi tra le quali la Salda e l’ingegner Besana, proprietario della villa di Via Luigi Rho diventata, a seguito del lascito, la casa di riposo medese. Passano gli anni e, mentre papà e Italo rimangono nella bottega sul Tarò, Gianfranco si trasferisce nella butega del Malisch, che confina con la casa dell’acquedotto del Gigin, in via San Giuseppe per poi aprire la sua bottega nel 1960 in Via Dalmazia. Si sposa nel 1968 con Lucia e nel 1969 arriva il primo figlio seguito nel 1974 dall’altro ai quali raccomanda ‘vivamente’ di non intraprendere la sua professione perché l’è un mesterasch. Il pericolo è sempre in agguato con queste macchine che hanno una potenza di 8000/10000 giri, l’attenzione deve essere sempre al massimo dell’impegno perché basta davvero poco perché succeda il danno alle dita.
La toupie - tupì, termine francese che tradotto letteralmente significa ‘trottola’ è una macchina simile ad una fresatrice verticale usata per eseguire cornici, smussi, incastri – così recita il Dizionario della lingua italiana Le Monnier ma ascoltare le spiegazioni di Gianfranco si apprende molto di più: esiste la tupì driza e la tupì storta, e fin qui ci arriviamo ma poi arriva la cua del ratt, la vertical tricatun, la mezalune, e tante descrizioni che coinvolgono ed affascinano. Ci mostra anche come realizza i suoi preziosi gioielli: da una balestra di acciaio, con l’utilizzo della smerigliatrice, si da forma e spessore affinché poi la lamina possa essere inserita nell’albero e dare così origine alla sagoma.
Negli anni ‘50 erano numerose le botteghe dei tupista e per citarne solo alcuni ricorda ul Mei , ul Ruminela, ul Claudin del Murnee, ul Martin e tanti altri che ormai non sono più ma che, come il nostro amico Barzarotti, hanno fatto parte della nostra storia e della nostra cultura.