FRANCESCO MAGNI: IL CANTASTORIE DELLA BRIANZA
Un incontro con un cantautore brianzolo, il suo talento e la sua storia. Autore di testi, un passaggio a Sanremo e poi la scelta di esprimersi nella nostra lingua, il brianzolo.
Francesco Magni canta la Brianza
Alcuni anni fa ho avuto la fortuna di conoscere Fancesco Magni, cantante di origini brianzole, persona simpatica, affabile e piacevolmente originale.
Francesco vive in Brianza, canta di sé e di quello che vede, che sente e che vive in questa area della Lombardia.
Poco tempo fa l’ho contattato per un’intervista e, disponibile come sempre, ha dichiarato quanto segue relativamente ai suoi esordi e al suo “passaggio” al dialetto brianzolo: “Ho iniziato la carriera scrivendo testi alla Senza fine di Paoli facendo un po’ di gavetta, poi ho continuato a scrivere finché Nanni Svampa nel 77 ha inciso nell’album “Al dì d’incoeu” quattro mie canzoni: “La mia terra”, “El mè paes”, “Che pirla papà” e “Pin pirolin”. Successivamente su un treno ho incrociato Moni Ovadia e poi è arrivato San Remo (n.d.r.: nel 1980 con la canzone "Voglio l'erba voglio" ha vinto il Premio della Critica), quindi sono andato avanti con alterne vicende.
Canto in dialetto perché è naturale per me. In famiglia e nel mio cortile nessuno parlava abitualmente italiano. Il mio mondo universo formativo e cognitivo è il volgare. Nella vita poi impari altro, magari l’inglese o altre lingue, ma resta il fatto che per me dire “Mè te voeuri ben” in dialetto è più forte ed incisivo che dire “io ti voglio bene”. L’Italiano per arrivare al festival della canzone italiana è ..… d’obbligo. Ma dopo un po’ di delusioni nel bel mondo della musica leggera sono ritornato da dove ero partito, come auspicato da Nanni Svampa.
Ho quindi continuato a scrivere e suonare. Sono stato sette volte in India, Paese meraviglioso pieno di sapori e di contrasti. Ho anche insegnato musica ai bambini delle scuole elementari; un’esperienza bellissima in quanto i bambini la musica ce l’hanno dentro, bisogna soltanto spiegare loro come fare a riconoscerla, ed io ci riuscivo con il gioco. Il ritorno alle origini è stato del tutto normale e non c’è soluzione di continuità tra l’uno e l’altro modo. L’importante è capirsi e fare cose belle. Ho in previsione un libro di memorie e forse un disco di inediti …...poi forse ritornerò ad esibirmi con più assiduità.”
Con l’album “Scigula” (2004) che ha avuto un grande successo di pubblico, Magni ripropone i suoni della Brianza. Nei brani “La mia terra” e “El mè paes” ci offre un dipinto di come era la sua terra; in “Lambrada”, una sorta di canzone ecologica, si denunciano le deplorevoli condizioni ambientali del fiume Lambro e delle aree circostanti, mentre in “La gainna del pollee” l’autore non si scorda di farci sorridere con l’apparente testo non-sense.
L’ultimo lavoro di Francesco Magni si intitola “Renzo e Luzia” (2012) del quale ha detto: ““I Promessi Sposi” sono sempre la stessa storia, ma se si porge in un modo nuovo riesce ad appassionare ancora; il segreto sta nel come raccontarla per catturare l’attenzione e far star bene coloro che ti stanno ascoltando”.
Grazie Francesco per quello che finora ci hai dato: speriamo di risentirti presto col tuo nuovo lavoro.
Renato Baroni
Francesco vive in Brianza, canta di sé e di quello che vede, che sente e che vive in questa area della Lombardia.
Poco tempo fa l’ho contattato per un’intervista e, disponibile come sempre, ha dichiarato quanto segue relativamente ai suoi esordi e al suo “passaggio” al dialetto brianzolo: “Ho iniziato la carriera scrivendo testi alla Senza fine di Paoli facendo un po’ di gavetta, poi ho continuato a scrivere finché Nanni Svampa nel 77 ha inciso nell’album “Al dì d’incoeu” quattro mie canzoni: “La mia terra”, “El mè paes”, “Che pirla papà” e “Pin pirolin”. Successivamente su un treno ho incrociato Moni Ovadia e poi è arrivato San Remo (n.d.r.: nel 1980 con la canzone "Voglio l'erba voglio" ha vinto il Premio della Critica), quindi sono andato avanti con alterne vicende.
Canto in dialetto perché è naturale per me. In famiglia e nel mio cortile nessuno parlava abitualmente italiano. Il mio mondo universo formativo e cognitivo è il volgare. Nella vita poi impari altro, magari l’inglese o altre lingue, ma resta il fatto che per me dire “Mè te voeuri ben” in dialetto è più forte ed incisivo che dire “io ti voglio bene”. L’Italiano per arrivare al festival della canzone italiana è ..… d’obbligo. Ma dopo un po’ di delusioni nel bel mondo della musica leggera sono ritornato da dove ero partito, come auspicato da Nanni Svampa.
Ho quindi continuato a scrivere e suonare. Sono stato sette volte in India, Paese meraviglioso pieno di sapori e di contrasti. Ho anche insegnato musica ai bambini delle scuole elementari; un’esperienza bellissima in quanto i bambini la musica ce l’hanno dentro, bisogna soltanto spiegare loro come fare a riconoscerla, ed io ci riuscivo con il gioco. Il ritorno alle origini è stato del tutto normale e non c’è soluzione di continuità tra l’uno e l’altro modo. L’importante è capirsi e fare cose belle. Ho in previsione un libro di memorie e forse un disco di inediti …...poi forse ritornerò ad esibirmi con più assiduità.”
Con l’album “Scigula” (2004) che ha avuto un grande successo di pubblico, Magni ripropone i suoni della Brianza. Nei brani “La mia terra” e “El mè paes” ci offre un dipinto di come era la sua terra; in “Lambrada”, una sorta di canzone ecologica, si denunciano le deplorevoli condizioni ambientali del fiume Lambro e delle aree circostanti, mentre in “La gainna del pollee” l’autore non si scorda di farci sorridere con l’apparente testo non-sense.
L’ultimo lavoro di Francesco Magni si intitola “Renzo e Luzia” (2012) del quale ha detto: ““I Promessi Sposi” sono sempre la stessa storia, ma se si porge in un modo nuovo riesce ad appassionare ancora; il segreto sta nel come raccontarla per catturare l’attenzione e far star bene coloro che ti stanno ascoltando”.
Grazie Francesco per quello che finora ci hai dato: speriamo di risentirti presto col tuo nuovo lavoro.
Renato Baroni