Il nostro cervello? E' politicamente corretto

Il nostro cervello non fa differenza tra bianchi e neri. E', come si suol dire, "politicamente corretto". Lo dimostra uno studio condotto dai ricercatori dell’Università Milano-Bicocca e pubblicato sulla rivista scientifica Neuroscience

L’empatia per il dolore altrui non dovrebbe conoscere differenze. Quando qualcuno soffre dovrebbe essere naturale la condivisione del sentimento. Eppure la scienza -  e sempre più spesso anche le esperienze personali – sfatano questa idea alla base del buon senso e di una naturale predisposizione all’umanità.

L’empatia per chi soffre è più forte se chi prova dolore appartiene alla nostra stessa etnia. Ma se il primo sentimento è quello di condivisione e di vicinanza alle persone del nostro gruppo, quello successivo – anche se la risposta di reazione è più lenta, con un maggiore impiego di tempo e di attività cerebrale – genera una risposta politicamente corretta che contrasta con il pregiudizio iniziale.

In altre parole dovendo ragionarci prima di esprimere un giudizio alla fine arriviamo alla conclusione che il dolore non conosce differenze tra bianchi e neri, anche se al primo impatto siamo più portati a provare empatia verso chi ha il nostro stesso colore della pelle.  

Lo dimostra uno studio condotto dai ricercatori dell’Università Milano-Bicocca e pubblicato sulla rivista scientifica Neuroscience. Uno studio condotto in collaborazione con l’Università di Urbino e l’ospedale Niguarda di Milano.

L’esperimento è stato condotto su 25 persone di razza bianca, 12 maschi e 13 femmine. I partecipanti si sono sdraiati all’interno di una risonanza magnetica e hanno guardato un video della durata di 12 secondi nei quali venivano inquadrati attori caucasici o africani. Inquadrature inizialmente a mezzo busto e poi zoomando sulle mani che venivano toccate con un ago (in realtà finto) e una gomma (che non genera sentimento di dolore). Gli attori coinvolti erano 20, di entrambi i sessi, sia bianchi che di colore. I partecipanti alla ricerca erano dotati di una piccola tastiera e dovevano giudicare , premendo i tasti, l’intensità del dolore provato dagli attori quando venivano toccati dall’ago e dalla gomma.

Entrando in gioco il giudizio l’empatia iniziale lascia spazio ala razionalità – un processo di bilanciamento  che avviene a livello della corteccia cerebrale -  facendo emergere che sia gli attori bianchi che quelli di dolore provavano la stessa intensità di dolore. Ma per arrivare a questo giudizio politicamente corretto i partecipanti allo studio impiegavano un tempo molto più lungo per stimare il dolore dei soggetti neri.  

"Nel nostro cervello permangono le tracce di comportamenti che possono essere definiti primitivi e che in parte condividiamo con i primati non-umani dotati di una qualche forma di autoconsapevolezza – spiegano i ricercatori – tra queste tracce vi sarebbe anche l’effetto DEAR, la propensione ad una maggiore empatia, a favore dei membri della nostra stessa etnia. Riconosciamo queste persone come simili a noi ed è più facile, per il nostro cervello, permetterci di immedesimarci in loro e di condividere i loro stati mentali. Ma fortunatamente nel corso dei secoli ci siamo evoluti e questo ha fatto sì che il nostro cervello imparasse a mitigare questo tipo di risposte primitive a favore di risposte socialmente più adatte. La sfida è quella di rendere più istintive, con un’educazione continua, le risposte  “politicamente corrette”, impresa certamente non facile in tempi di forti tensioni come quelli attuali".


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