Seveso, una cronista a cinque cerchi: Silvia Galimberti alle Paralimpiadi di Londra
A Londra ci sarà anche lei. Come giornalista. Parliamo di
Silvia Galimberti, sevesina, volto noto in città anche in virtù degli anni trascorsi all'ufficio Stampa del Comune. Coinvolta come cronista nell'avventura a cinque cerchi visto che seguirà in prima persona le Paralimpiadi, ovvero i Giochi olimpici per i disabili, direttamente sul posto. Un'esperienza unica dal punto di vista umano e professionale: le abbiamo chiesto di raccontarci in antemprima le sue emozioni.
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A Londra ci sarà anche lei. Come giornalista. Parliamo di
Silvia Galimberti, sevesina, volto noto in città anche in virtù degli anni trascorsi all'ufficio Stampa del Comune. Coinvolta come cronista nell'avventura a cinque cerchi visto che seguirà in prima persona le Paralimpiadi, ovvero i Giochi olimpici per i disabili, direttamente sul posto. Un'esperienza unica dal punto di vista umano e professionale: le abbiamo chiesto di raccontarci in antemprima le sue emozioni.
La sensazione credo sia molto simile – per difetto naturalmente – a quella che prova un atleta: lavora da mesi, anzi da anni, per un unico obiettivo che è coronamento e insieme stimolo del suo fare quotidiano. Così è anche per me. Da 4 anni lavoro nel campo dello sport paralimpico, per una società che ritengo una delle più innovative e strutturate del panorama italiano (ma forse anche più in là), ovvero Briantea84. Sarò a Londra, dal 25 agosto al 10 settembre, e seguirò i Giochi Paralimpici proprio grazie a un progetto che da mesi stiamo sviluppando in vista del nostro trentesimo anniversario: un libro fotografico che vuole essere una celebrazione dello sport paralimpico nella sua essenza, non un monumento autoreferenziale dedicato Briantea84 ma una raccolta di immagini suggestive che mostri i più forti atleti a livello mondiale, i loro sforzi agonistici, le tensioni e i successi. Insomma, ciò che li rende sportivi a tutti gli effetti.
Come tutte le prime volte, si tratta in parte di un salto nel vuoto: non so esattamente quello che mi aspetta, tranne che – a detta di tutti – sarà un evento grandioso, la migliore Paralimpiade di sempre, la più seguita (ad oggi tutti i biglietti sono sold out). In tanti mi dicono che i Giochi Paralimpici siano anche più belli dell’Olimpiade, probabilmente per il fatto che le storie degli atleti coinvolti giocano un ruolo che non si può ignorare. A me non interessa fare graduatorie, mi aspetto di vivere all’ennesima potenza ciò che già oggi mi piace dello sport paralimpico, ovvero il grande agonismo, la forza del gesto atletico, l’idea di un superamento dei limiti fisici e sociali che lo sport rende possibile.
E poi, occupandomi di comunicazione con esperienza nel giornalismo, ciò che cercherò di fare sarà continuare a parlare dei risultati paralimpici. Mai come oggi, pur in prossimità di un evento globale, mi rendo conto di quanta fatica si faccia per trasmettere un messaggio molto semplice: lo sport è uno solo, chi fa sport è uno sportivo a prescindere dalla sua condizione di vita. Ignorarlo è una perdita per tutti: è un impoverimento della cultura. Anche perché ci dimentichiamo che nel mondo ci sono circa 650 milioni di persone con disabilità, non proprio un pubblico di nicchia. Eppure, basta aprire un giornale a caso e accorgersi che si parla di disabilità nello sport solo in casi eccezionali o quando si tratta di Pistorius. Pare esista solo lui. Oscar è un apripista fenomenale ma non possiamo pensare di liberarci la coscienza scrivendo periodicamente qualcosa sulle sue protesi o sulla sua discussa partecipazione alle Olimpiadi coi normodotati. Lo sport paralimpico è anche altro.
A Londra abbiamo organizzato una “casa Briantea84”, così come esiste “casa Italia”, ovvero una base di appoggio sia per chi lavorerà al progetto del libro fotografico, sia per gli atleti che magari vorranno venire a mangiare un piatto di pasta al pomodoro in un ambiente familiare. Sono convinta che, al di là delle gare, questa Paralimpiade sarà entusiasmante da vivere anche per gli scambi umani con persone provenienti da tutto il mondo.
Sto pensando, ma per ora è solo un’idea, di scrivere un blog per raccontare cosa vedo a Londra. Essendo un campo che di visibilità ne ha poca, non corro il rischio di avere molta concorrenza. Questo è allo stesso tempo il bello (per la possibilità di spaziare con nuove idee) e il brutto (perché a volte si ha l’impressione di voler raccogliere l’acqua del mare con un secchiello) del lavorare per lo sport paralimpico.
Silvia Galimberti
Silvia Galimberti, sevesina, volto noto in città anche in virtù degli anni trascorsi all'ufficio Stampa del Comune. Coinvolta come cronista nell'avventura a cinque cerchi visto che seguirà in prima persona le Paralimpiadi, ovvero i Giochi olimpici per i disabili, direttamente sul posto. Un'esperienza unica dal punto di vista umano e professionale: le abbiamo chiesto di raccontarci in antemprima le sue emozioni.
La sensazione credo sia molto simile – per difetto naturalmente – a quella che prova un atleta: lavora da mesi, anzi da anni, per un unico obiettivo che è coronamento e insieme stimolo del suo fare quotidiano. Così è anche per me. Da 4 anni lavoro nel campo dello sport paralimpico, per una società che ritengo una delle più innovative e strutturate del panorama italiano (ma forse anche più in là), ovvero Briantea84. Sarò a Londra, dal 25 agosto al 10 settembre, e seguirò i Giochi Paralimpici proprio grazie a un progetto che da mesi stiamo sviluppando in vista del nostro trentesimo anniversario: un libro fotografico che vuole essere una celebrazione dello sport paralimpico nella sua essenza, non un monumento autoreferenziale dedicato Briantea84 ma una raccolta di immagini suggestive che mostri i più forti atleti a livello mondiale, i loro sforzi agonistici, le tensioni e i successi. Insomma, ciò che li rende sportivi a tutti gli effetti.
Come tutte le prime volte, si tratta in parte di un salto nel vuoto: non so esattamente quello che mi aspetta, tranne che – a detta di tutti – sarà un evento grandioso, la migliore Paralimpiade di sempre, la più seguita (ad oggi tutti i biglietti sono sold out). In tanti mi dicono che i Giochi Paralimpici siano anche più belli dell’Olimpiade, probabilmente per il fatto che le storie degli atleti coinvolti giocano un ruolo che non si può ignorare. A me non interessa fare graduatorie, mi aspetto di vivere all’ennesima potenza ciò che già oggi mi piace dello sport paralimpico, ovvero il grande agonismo, la forza del gesto atletico, l’idea di un superamento dei limiti fisici e sociali che lo sport rende possibile.
E poi, occupandomi di comunicazione con esperienza nel giornalismo, ciò che cercherò di fare sarà continuare a parlare dei risultati paralimpici. Mai come oggi, pur in prossimità di un evento globale, mi rendo conto di quanta fatica si faccia per trasmettere un messaggio molto semplice: lo sport è uno solo, chi fa sport è uno sportivo a prescindere dalla sua condizione di vita. Ignorarlo è una perdita per tutti: è un impoverimento della cultura. Anche perché ci dimentichiamo che nel mondo ci sono circa 650 milioni di persone con disabilità, non proprio un pubblico di nicchia. Eppure, basta aprire un giornale a caso e accorgersi che si parla di disabilità nello sport solo in casi eccezionali o quando si tratta di Pistorius. Pare esista solo lui. Oscar è un apripista fenomenale ma non possiamo pensare di liberarci la coscienza scrivendo periodicamente qualcosa sulle sue protesi o sulla sua discussa partecipazione alle Olimpiadi coi normodotati. Lo sport paralimpico è anche altro.
A Londra abbiamo organizzato una “casa Briantea84”, così come esiste “casa Italia”, ovvero una base di appoggio sia per chi lavorerà al progetto del libro fotografico, sia per gli atleti che magari vorranno venire a mangiare un piatto di pasta al pomodoro in un ambiente familiare. Sono convinta che, al di là delle gare, questa Paralimpiade sarà entusiasmante da vivere anche per gli scambi umani con persone provenienti da tutto il mondo.
Sto pensando, ma per ora è solo un’idea, di scrivere un blog per raccontare cosa vedo a Londra. Essendo un campo che di visibilità ne ha poca, non corro il rischio di avere molta concorrenza. Questo è allo stesso tempo il bello (per la possibilità di spaziare con nuove idee) e il brutto (perché a volte si ha l’impressione di voler raccogliere l’acqua del mare con un secchiello) del lavorare per lo sport paralimpico.
Silvia Galimberti