Farmaci antinfiammatori: aumenta il rischio di scompenso cardiaco

Una ricerca condotta da un team di scienziati dell'Università di Milano Bicocca, in collaborazione con colleghi di altri Paesi europei, ha rivelato che l'assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei è uno dei fattori di rischio dello scompenso cardiaco

Lo scompenso cardiaco aumenta nei pazienti che assumono abitualmente farmaci antinfiammatori non steroidei. A rivelarlo è la statistica con uno studio pluridisciplinare e  internazionale che ha coinvolto l’Università di Milano-Bicocca e i colleghi spagnoli, tedeschi, francesi  ed olandesi.

A coordinare il professor Giovanni Corrao, docente di statistica medica dell’ateneo milanese che ha evidenziato come "i risultati simili sono stati verificati in tutta Europa e dunque questi rischi non dipendono dalle abitudini prescrittive o da comportamenti esterni, ma sono direttamente riferibili ai farmaci".

Un’importante novità e cambio di rotta anche per i medici nella scelta della prescrizione di alcuni farmaci. Lo studio – pubblicato anche sulla rivista “Bristih journal of medicine” - è stato condotto su 92.163 ricoveri ospedalieri per scompenso cardiaco in Italia, Germania, Olanda e Regno Unito.

Ricoveri poi confrontati con gli oltre 8 milioni di controlli ospedalieri rispetto all’uso di antinfiammatori non steroidei prendendo in considerazione anche la relazione tra dosaggio e risposta. Al termine di questa osservazione gli esperti sono giunti alla conclusione che il rischio di ricovero ospedaliero per scompenso cardiaco è strettamente dipendente dal dosaggio di questi farmaci.

Nei pazienti che utilizzavano il  farmaco antinfiammatorio non steroideo da meno di due settimane è stato riscontrato un rischio di ricovero maggiorato del 19 per cento rispetto a chi non li assumeva da almeno sei mesi.

Il rischio è in particolare aumentato per 7 principi attivi tradizionali – diclofenac, iboprufemene, indomertacina, ketorolac, naprossene, nimesulide e piroxicam – e due inibitori della COX-2, etoricoxib e refecoxib.

Soprattutto per i princìpi tradizionali, il rischio è direttamente proporzionale al dosaggio, arrivando a risultare addirittura raddoppiato alle dosi più elevate sperimentate.


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