Spotify & co, la musica è leggerissima

La musica è la stessa, il modo in cui l'ascoltiamo sta cambiando, ancora una volta. C'è voluto un po' perchè l'industria musicale cominciasse a vedere la rete ed il cloud come opportunità e non più solo come minaccia: l'arrivo degli ultimi servizi di musica in streaming dimostra come l'equazione musica digitale uguale pirateria uguale mancati incassi sia vera solo in mancanza di sfruttamento dei diritti in modo differente e intelligente. Non più la vendita di singoli brani o di album degli ar...

La musica è la stessa, il modo in cui l'ascoltiamo sta cambiando, ancora una volta. C'è voluto un po' perchè l'industria musicale cominciasse a vedere la rete ed il cloud come opportunità e non più solo come minaccia: l'arrivo degli ultimi servizi di musica in streaming dimostra come l'equazione musica digitale uguale pirateria uguale mancati incassi sia vera solo in mancanza di sfruttamento dei diritti in modo differente e intelligente. Non più la vendita di singoli brani o di album degli artisti preferiti, ma un abbonamento che consente l'accesso a vastissime librerie digitali, sempre disponibili tramite una connessione internet, che sia da pc fisso, portatile, smartphone o tablet, poco importa. I servizi in questione, disponibili in Italia, si chiamano

Spotify,

Deezer e

Grooveshark, e stanno letteralmente spopolando, grazie anche alla stretta integrazione con i social network, dove possiamo condividere con gli amici le nostre playlist o quel che ascoltiamo durante la giornata. Il funzionamento è semplicissimo, si scarica l'app o ci si connette al sito, ci si registra anche tramite l'account facebook, si cerca la canzone, l'artista o l'album o si naviga tra le playlist o le classifiche per genere e si ascoltano i brani selezionati, quasi istantaneamente. Finito il periodo di prova si decide se pagare il canone o fruire del servizio interrotto però da messaggi pubblicitari. Tutto nella piena legalità e senza la necessità di passare per download lenti, file pericolosi e senza il rischio che finito di scaricare il primo disco in classifica ci si ritrovi con un contenuto completamente diverso: questi sono i ricordi di chiunque abbia provato i software di file-sharing come

Emule,

Bittorrent e cloni vari. Svanita anche la necessità di avere grossi dischi fissi per gestire tutti i file scaricati, con il pericolo di perdere poi tutto per un guasto. Il modello rende sorpassati anche i negozi che funzionano come un tradizionale negozio di dischi, come

Itunes di Apple,

Google Play Music o

Amazon Mp3. I nuovi servizi sono eredi in parte di questi negozi digitali e in parte delle internet radio musicali dove l'utente può creare la propria stazione in base ai propri gusti, come

Pandora e

Last.fm, ma la storia della musica digitale, priva del supporto fisico parte da ancora più lontano, almeno dal 1999, anno di nascita di

Napster, il primo dei servizi di audio file sharing diventato in breve tempo popolarissimo ma chiuso già nel 2001 per controversie legali con le major del disco, poi gli appassionati sono migrati ai già citati Emule, Bittorrent,

Gnutella,

WinMx,

Kazaa e tutti quei software che permettevano di scaricare le librerie di altri utenti e di condividere la propria nati sulla scia di Napster e delle tecnologie peer-to-peer. Sempre nel 2001 faceva la sua comparsa l'Apple Ipod, un player di file musicali portatile, che non differiva molto dai lettori mp3 portatili già in commercio, se non per l'integrazione con Itunes Music Store, un vero e proprio negozio di musica digitale che ha contribuito non poco alla diffusione legale della musica in formato digitale. Il modello di business di Spotify & c. però sembra destinato a cambiare radicalmente le nostre abitudini in materia. Tanto che sia Apple che Google stanno correndo ai ripari, lanciando servizi analoghi: Big G ha lanciato all'ultima conferenza I/O il servizio Play Music All Access, del tutto simile a Spotify mentre si da per imminente il servizio Apple iRadio, con caratteristiche simili a Pandora.
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