Vargas Llosa, la dittatura e i paparazzi

La sua scrittura, i temi, i personaggi, le descrizioni disegnano come su una tela, il tormentato cammino di una nazione simbolo: il Perù. Ma la letteratura di Vargas Llosa riesce a rendere universali le descrizioni, rendendo pieno il senso della parola letteratura.

È vero che Mario Vargas Llosa ha 80 anni, ma sembra abbia vissuto mille vite, tutte regolarmente documentate nei suoi romanzi. Documentare, per uno come lui, significa estrapolare dalla sua vita le infinite esperienze, farle rivivere ai personaggi ed ecco che abbiamo l’analisi dettagliata di una nazione, il Perù, delle sue rivoluzioni e dittature, dei mutamenti della stratificazione sociale, di cui conosce ogni classe, come fosse nato almeno una volta in tutte. Ma buon per noi, non è solo il Perù, insomma i peruviani di cui parla diventano tutti gli esseri umani di qualunque latitudine.

In un’intervista ha detto che non gli piace l’idea dello scrittore che se ne sta rinchiuso e vive solo della propria fantasia. Ma con una vita come la sua, la fantasia non gli serve per immaginare sfondi, quelli sono già tutti ben impressi nella sua memoria, la fantasia la usa per costruire le trame e per scolpire i personaggi. E che personaggi, non ci sono mai controfigure nei suoi romanzi, mai personaggi secondari, se lo sono perché hanno una piccola parte nella trama, hanno sempre identità e temperamento.

Non ha bisogno di tante parole e di lunghe descrizioni per raccontarceli, basta un dettaglio del vestito, una parola detta con un certo tono, il modo di camminare o di guardare i bambini che giocano per strada, e il lettore conosce il personaggio. Non per niente Vargas Llosa è stato giornalista, quando era giovanissimo e molto bohémien, lui dice, ma del giornalista ha conservato il colpo d’occhio, la capacità di cogliere la verità delle situazioni, compreso il comportamento di chi si trova coinvolto. Il lettore sta lì, nelle strade polverose della suburra di Lima, o nel salotto con vista panoramica sulla baia di Miami come fosse un passante o seduto su una bella poltrona. Certamente la sua vocazione è la scrittura e non può vivere senza, ma nei suoi romanzi serpeggia un’altra vocazione: la letteratura come salvezza dal caos dell’esistenza umana.

Scrive, insieme a Claudio Magris, in La letteratura è la mia vendetta ( Mondadori, 2012 ): “…Un libro è veramente riuscito quando ci strappa dallo scorrere concitato delle nostre vite e ci trascina in un mondo dove la finzione appare più tangibile e reale della realtà stessa, e questo movimento di creazione e specchio ci permette di orientarci meglio e di capire qualcosa su più di noi stessi”.

Nei suoi ultimi romanzi: L’eroe discreto, ( Einaudi , 2013 ) e Crocevia, (Einaudi 2016 ) Vargas llosa tratta lo stesso argomento: il ricatto subito dai due protagonisti, da Felicito Yanaqué nel primo e da Enrique Càrdenas nel secondo. Città, contesto sociale ed epoca storica sono diversi ma l’obiettivo è lo stesso: contrastare il male che d’improvviso si abbatte nelle vite dei due personaggi. Il modo di combatterlo è diverso, Felicito tiene fede al motto di suo padre: “Nella vita, figlio, non lasciare che nessuno ti metta i piedi in testa”. Per lui è un imperativo e tutto d’un pezzo com’è, non fa compromessi, non si lascia convincere a facili soluzioni, esponendo se stesso e la sua famiglia a insidie e minacce. Per Enrique è diverso, accetta qualche compromesso, ma sembra non poterne fare a meno: siamo nel periodo oscuro della dittatura del Presidente Fujimori. I due casi servono all’autore per accendere i riflettori sul potere, quello malsano, quello dove tutte le istituzioni si tengono in piedi perché collegate tra loro da vischiosi rapporti di forza.

In una delle sue molte vite, Vargas Llosa si candidò alla carica di Presidente della Repubblica del Perù. Vinse il rivale, Alberto Fujimori che nel 1992, tanto per non distinguersi da tante altre nazioni dell’America Latina, procede con un colpo di stato e azzera le libertà fondamentali. Sta qui la sua forza: attraverso la letteratura racconta la Storia ma senza mettersi in cattedra, gli preme che la democrazia non muoia, descrivendo il suo paese negli anni di Fujimori e del Doctor: l’anima nera della dittatura, e la forza connivente degli organi di stampa.

Per questo è convinto che: “ Per formare cittadini critici e indipendenti, difficili da manipolare, in permanente mobilitazione spirituale e con un’immaginazione sempre sulle spine, non c’è niente di meglio dei buoni romanzi”.

E i suoi sono buoni, ottimi romanzi, la sua scrittura è piana, precisa; precisa come una pallottola.



Pianeta libri è una rubrica curata dall’agenzia letteraria Il Carteggio

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