La scelta di Matteo: niente estero, meglio la drogheria di famiglia in periferia

MONZA - Tra tanti giovani che sognano di andare all'estero, magari compiendo davvero questo passo, ce n'è uno che va controcorrente: Matteo Fraschini prioprio non vuole lasciare l'attività di famiglia, la drogheria, nella periferia della città. Ripagato anche dal rapporto umano e dalla fiducia dei clienti

Nell’Italia della fuga dei cervelli, dei ragazzi che scappano all’estero alla ricerca di un futuro migliore c’è anche chi resta e tenta di portare avanti con passione la vecchia drogheria di famiglia, nel cuore del rione.

Credendo che, in questo mondo globalizzato e veloce, ci sia ancora spazio per le piccole attività di vicinato, per quei negozi dove i pensionati di oggi  e gli anziani di domani, potranno continuare a fare la spesa, scambiare due chiacchiere, trovare quella complicità e umanità che ormai la tecnologia ha soppiantato.

Perché ci sono – e per fortuna – ancora persone che gli acquisti non li fanno on line, che considerano un rito la spesa quotidiana affidandosi al negoziante di fiducia sottocasa con il quale si crea un rapporto di stima e di fiducia.

Sicuro di questo bisogno Matteo ha deciso di fare una scelta professionale e di vita che oggi potrebbe apparire controcorrente: a 27 anni invece di partire per l’estero oppure cercare un lavoro comunemente detto “sotto padrone” ha continuato l’attività di famiglia a Monza mettendosi dietro al bancone della drogheria di via Vespucci che la nonna aveva aperto oltre sessant’anni fa.

Abbiamo deciso di raccontarvi  la storia di Matteo Fraschini, cresciuto in quel negozio del rione Libertà, insieme a nonna Adele (recentemente scomparsa) e a papà Sandro.

Una storia per riflettere, per imparare a vedere il commercio in modo diverso e soprattutto a ripopolare e far vivere i nostri quartieri e i nostri paesi sempre più spesso dormitori vuoti e senz’anima. Le saracinesche si abbassano, poi velocemente si rialzano per chiudere bottega magari nell’arco di pochi mesi. Quella della famiglia Fraschini è invece una storia diversa.

Matteo è  orgoglioso del suo lavoro perché  ci ricorda che “anche Margaret Thatcher è nata in una famiglia di droghieri. Lo scrive nella sua autobiografia spiegando che solo chi ha una bottega in un paese può comprenderne l’importanza”.

Perché un ragazzo oggi decide di andare avanti nella piccola attività di famiglia? “Perché questi tipi di attività sono necessari, soprattutto all’interno di un quartiere – spiega il giovane che è anche presidente degli Alimentaristi di Confcommercio Monza – Un negozio aperto dalle 7 del mattino alle 19.30, dove si lavora non solo con gli anziani che ogni giorno vengono a fare la spesa, ma anche con chi va e torna dall’ufficio”.

Matteo non ne fa esclusivamente un fattore di business, ma anche un elemento sociale. “Il negozio soprattutto negli ultimi anni si è ampliato e modificato – continua – Offrendo prodotti che prima non venivano venduti: il fresco, la frutta, il pane, persino il banco dei surgelati cercando di raccogliere le esigenze delle persone e i cambiamenti all’interno della società. Per esempio dopo la chiusura della cartoleria del rione abbiamo iniziato a vendere anche quaderni, penne e altri oggetti utilizzati dagli studenti”.

Non dimenticando che il quartiere, soprattutto quello di periferia, è lo specchio del mondo del cambia. Ma anche di realtà che restano comunque immutate: così come negli anni Settanta e Ottanta la mattina prima di andare a scuola ci si accorgeva che non avevamo il foglio protocollo per scrivere il tema facevamo un salto in cartoleria oggi nel rione le cartolerie non ci sono più, da qui l’idea di Matteo di dedicare uno spazio anche a questi prodotti salvando in zona Cesarini gli studenti del vicino liceo e della scuola elementare.

Certo, non è facile, ma l’entusiasmo del giovane è contagioso. “Da questo quartiere non me ne vado – ha aggiunto – La mia famiglia lo ha visto nascere e svilupparsi. Negli anni Sessanta la strada era sterrata, non c’era neppure la chiesa e la Messa veniva celebrata in una parte di quello che oggi è il negozio”. Poi il quartiere è cresciuto e negli anni Ottanta – con il boom edilizio – si è velocemente popolato.

“Sono molto legato al mio rione e all’attività di famiglia – aggiunge – Credo molto in questo negozio, nel valore che una piccola attività a conduzione familiare ha all’interno di un quartiere. I clienti non solo vengono a fare la spesa, ma di te si fidano: passano magari il giorno dopo a portarti quei due euro che non avevano, si fermano a parlare di quanto accade sotto casa  o a confidarsi di qualche problema personale, portano idee, fanno emergere esigenze. Poi, naturalmente, fanno acquisti”.

Tutto questo la grande distribuzione non lo offre: tutto troppo dispersivo, tutto troppo frenetico, tutto troppo poco a misura di persona.

Che non solo ha bisogno di riempire il carrello ma sempre più spesso ha bisogno di alimentare l’anima con incontri, socialità e chiacchiere. Che il vecchio e caro negoziante sottocasa continua a garantire.

Barbara Apicella


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