Un omaggio all’Hensemberger nel libro di Paolo Cadorin
MONZA - E' scrittore ed editore ma, soprattutto, è un ex studente dell'Hensemberger, dove si è diplomato nel 1968: Paolo Cadorin, presa in mano la penna, ha voluto ridare gloria all'istituto ricordandone le persone e gli aneddoti
I capelli e la barba diventano grigi, ma quando si passa davanti a quell’istituto i ricordi e la passione ritornano fervidi e intensi a distanza di quasi mezzo secolo dalla maturità. Omaggio all’Hensemberger, ai suoi studenti, ai suoi professori. Alla sua storia e al grande ruolo educativo e professionale che ha visto formare intere generazioni di ragazzi che hanno spiccato il volo nel mondo del lavoro. Un omaggio tra ricordi, vecchie foto in bianco e nero, documenti e la memoria di chi in prima persona ha studiato su quei banchi. Si intitola “Memorie dell’Itis Pino Hensemberger Monza 1943 XXI EF 1974” il libro scritto da Paolo Cadorin che nell’istituto professionale monzese si è diplomato nel 1968.
L’autore ci rimanda direttamente alla prefazione del suo libro per comprenderne il contenuto e soprattutto la motivazione alla base della scelta di ripercorrere la storia di quell’istituto e soprattutto ridare voce e volto a quei personaggi certamente familiari a intere generazioni di brianzoli.
Tutto è nato da un incontro fortuito dell’autore con un vecchio compagno di scuola incrociato durante una calda giornata agostana in una vallata della Valcamonica. Due chiacchiere tra due signori che, solo all’apparenza non si conoscevano, per poi al momento di accomiatarsi presentarsi e scoprire che, entrambi, avevano studiato nel medesimo periodo nel mitico istituto di via Berchet. A quel punto la decisione di Cadorin – scrittore ed editore – di ridare lustro alla sua scuola, ripercorrendone la storia e tirando fuori dal cassetto della memoria aneddoti e vicende.
Così che scorrendo nella lettura riemergono le figure della professoressa di inglese Castoldi particolarmente severa pronta rovinare le vacanze con i temuti esami a settembre a quei ragazzi che con la lingua proprio non ci sapevano fare. E poi i bidelli Jerman, Paolino e il “Piedipiatti” che fin dal primo giorno di scuola annotavano sull’agenda i nomi dei più pestiferi da riferire al preside e che, certamente, si sarebbero beccati la classica insufficienza in condotta. In quegli anni bastava quello per essere bocciati.
Cadorin ricorda la severità di quel quinquennio, come scrive nella prefazione. “Si studiava sodo per farcela. I professori da parte loro erano severi ma insegnavano, alcuni di loro erano dirigenti d’azienda, Non prestavano il fianco a contestazioni; del resto era impensabile impugnare qualsiasi giudizio con leggerezza altrimenti si finiva sul libro nero con risultati prevedibili”.
Anni duri ma che vengono ricordati con immenso piacere e nostalgia, non solo per la preparazione professionale ricevuta, ma anche per quella umana. “Nei cinque anni trascorsi nell’Istituto il rapporto con i professori è sempre stato ottimale… Fra gli studenti vi è sempre stato il massimo rispetto. Atti cosiddetti di bullismo non e ricordo. Con questo le nostre bravate le facevamo, ma sempre con eleganza tanto che non vi furono mai problemi”.
Cadorin ci offre una deliziosa fotografia di una scuola e di un’educazione che oggi non esistono più. Di un rapporto umano che si è ritrovato a distanza di decenni, con alunni ormai cresciuti con una vita professionale e personale alle spalle ma che ancora conservano nel cuore e nella mente quegli splendidi cinque anni trascorsi sui banchi e nei laboratori dell’Hensemberger.
Tanto da decidere di costituire un gruppo “Quelli del ’68 all’Hensemberger di Monza” che ogni anno si riunisce e soprattutto di lasciare agli studenti di oggi la fotografia e il racconto della scuola dei loro padri e dei loro zii.
Il lavoro di Cadorin è disponibile nelle librerie cittadine.
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