Ballo risorgimentale, il fascino ritrovato
Un appuntamento con la rievocazione dun'eleganza persuta. L'architettura eclettica di Villa Bagatti Valsecchi in un bel pomeriggio di maggio si è misurata coi costumi e i valzer della metà ottocento. Uno splendico colpo d'occhio fra cultura ed eleganza perdute.
Villa Bagatti Valsecchi, Varedo, eclettica dimora storica con il suo sconfinato parco, una domenica di maggio soleggiata e festosa; nell’ambito della mostra “Da Napoleone a Umberto II” tenutasi nelle sale ottocentesche dell’edificio, sta succedendo qualcosa di singolare… Le prime note musicali richiamano all’esterno uomini e donne, i bambini ascoltano incuriositi e incantati come solo i bimbi sanno fare, i ballerini dell’Associazione Culturale “Società di Danza” prendono posto sulla grande pedana allestita dai Volontari di fronte al parco. E’ di scena il Gran Ballo Risorgimentale! Per la prima volta a Varedo, dame e cavalieri in sontuosi costumi del secolo romantico, si librano eleganti e flessuosi affascinando e coinvolgendo, con la loro danza, tutti i presenti. Ma ora, per comprendere meglio il come e il perché di tanto incanto immutato nel tempo, dobbiamo fare un passo indietro e, tra inchini, baciamani e sorrisi compiaciuti, partire dall’inizio…
Per Curt Sachs (1881-1959) musicologo e etnocoreologo tedesco, “la danza è la madre delle arti”, poiché a differenza sia di poesia e musica, che si definiscono nel tempo, di architettura e arti figurative che si determinano nello spazio, la danza vive analogamente nel tempo e nello spazio”. Da sempre l’uomo, con la sua sola fisicità, crea un “movimento ritmico in una successione spazio-temporale, senso plastico dello spazio, viva rappresentazione di una realtà visiva e fantastica”, ancor prima di assegnare l’esito della sua esperienza alla materia, alla pietra, alla parola. Il corpo parla e, nell’estasi “va oltre”, divenendo custode della potenza dell’anima: sì l’anima, che trae piacere e letizia dall’etereo movimento del corpo liberato da ogni peso e libero di manifestare la propria individuale personalità. La danza non è arte, nell’accezione etimologica del termine ma, se viene compresa come riproduzione dei fenomeni percepiti dal tatto, dall’udito e dalla vista, come qualcosa che da forma e sostanza alle esperienze inconsce dell’emozione, può rappresentare anch’essa una espressione artistica che non necessita di un linguaggio comune, concezioni teoriche o particolari rappresentazioni codificate, ma solo capacità di quel profondo sentire che, partendo dal nostro intimo, racchiude in se quella spiritualità dell’essere che la rende universale. Il ballo risulta pertanto essere parte integrante dei rituali tribali e etnici, forma di preghiera, momento di aggregazione sociale e individuale, unione e specchio dei comportamenti umani, del pensiero e della società di tutte le epoche.
Luogo d’incontro, ma anche di ostentazione dello status sociale, scuola per imparare a stare in società, applicandone le regole e perfino spazio di assenso o diniego di una possibile proposta matrimoniale, così la sala da ballo, sin dal Rinascimento, viene vissuta dall’aristocrazia, e in seguito dalla gran parte della borghesia europea. Per tutto il secolo XVIII dell’Illuminismo e delle riforme in tutti i campi, dei vari “minuetti” e “gavotte” troviamo un netta distinzione tra la danza di corte e la danza da teatro (dovute all’esigenza di uscire da canoni codificati e artificiali), dall’inizio dell’Ottocento e fino all’età vittoriana e al Novecento, la danza assume una nuova e ritrovata sensibilità dando voce ai moti dell’animo, del sogno, dell’emozione che spezza le vecchie certezze legate al dominio del culto della ragione.
Superate le sfarzose cerimonie settecentesche, possiamo seguire prima l’ascesa e poi la caduta della nobiltà, quest’ultima segnata da eventi quali la Rivoluzione francese e l’egemonia napoleonica. Alle soglie del Congresso di Vienna del 1815, con il suo “dubbio” diplomatico-mondano minuetto o valzer come danza ufficiale, l’Europa è contrassegnata dalla spartizione territoriale tra le grandi potenze fino a tutto il XIX secolo, ma anche dall’inizio dell’evoluzione della borghesia e dell’era industriale.
Nel corso dell’Ottocento, “ il gran secolo del ballo”, la danza non è più esclusiva prerogativa delle classi colte e aristocratiche da un lato, e dinamismo consolatorio delle classi popolari dall’altro, ma diviene uno strumento d’espressione più omogeneo e diffuso. Il ballo, rappresenterà anche un veicolo di messaggi affettivi, emotivi e, più che mai, uno strumento di comunicazione per provocare e sedurre. Tra gioielli, crinoline, drappeggi, volant, e candelabri accesi, la dama e il suo cavaliere (in uniforme militare o di gala) ottocenteschi, volteggiano nei saloni dei palazzi nobiliari al ritmo inebriante di valzer, quadriglie e contraddanze. E, se l’origine della quadriglia è certa e deriva dal Cotillon francese del XVIII secolo , come lo è la contraddanza (nome corretto Country Dance) nata nell’Inghilterra contadina del 1600 e accettata alla corte di Elisabetta Tudor, gli storici sono ancora oggi divisi sulla vera origine del valzer. Quelli tedeschi, ritengono che il valzer derivi dall’Allemanda, ballo tradizionale del sud della Germania, dal Dreher di origine Bavarese e dal Ländler di nascita austriaca, mentre secondo i francesi trae origine dalla Volta provenzale; balli di diversa provenienza, ma con la caratteristica comune del volteggio di coppia su ritmo alterno. Le uniche certezze attendibili sono il prevalere delle danze di coppia come il valzer, su quelle corali quali quadriglie e contraddanze e, quella di considerare il valzer un prodotto della cultura europea che trova nella dinastia degli Strauss, i grandi divulgatori, legandolo per questo al clima della Vienna ottocentesca e dei Gran Balli Risorgimentali.
Paternità a parte, queste danze per tutto il secolo hanno rappresentato un omaggio alla storia e ai valori fondamentali della società unitaria, valori che affondano le proprie radici nella cultura democratica e liberale del Risorgimento e, se allora erano celebrati e regolati da una comune etichetta di norme comportamentali, oggi come allora il Gran Ballo Risorgimentale rivive un ritrovato splendore, poiché scuole di danza, corsi professionali, associazioni culturali amatoriali e non, hanno tramandato e riportato in auge i fasti di un tempo.
Travolti da un singolare desiderio di ‘800, le dame e i cavalieri di oggi forse non si promettono più amore eterno, ma tra frullare di pizzi e tulle, fantasticando di volteggiare tra gli specchi delle sale del Gattopardo, ci regalano ancora quel desiderio di sogno, di grazia, di bellezza, di unicità, di contemporaneità, da due secoli mai sopita.