Laini (Cgil): "La K-Flex? In Polonia si guadagna qualche dollaro in più"
RONCELLO - Mentre prosegue la vicenda della K-Flex e quella dei numerosi dipendenti che attendono di conoscere il loro destino, la Cgil prende ancora una volta posizione. Il segretario Maurizio Laini accusa la proprietà di trasferirsi non per necessità, ma solo per guadagnare di più
“La devastante vicenda che i duecentocinquanta lavoratori della K- Flex di Roncello stanno vivendo con le loro famiglie non può essere strumentalizzata, né dal sindacato e men che meno dalle forze politiche. Va invece letta per quello che è: una scelta irresponsabile della famiglia Spinelli, tesa a guadagnare di più passando sopra qualsiasi richiamo ai lavoratori, al loro contributo storico alle fortune dell’azienda, ai loro diritti affermati persino dalle leggi, ai loro bisogni; passando sopra alle esigenze di un territorio fin qui collaborativo e a milioni di fondi pubblici stanziati per sostenere la vita e il futuro – sul territorio - di quell’azienda stessa". Lo afferma in modo molto deciso e diretto Maurizio Laini, segretario generale della Cgil di Monza e Brianza, intervenendo in una vicenda che, purtroppo, non sembra proprio avviata verso una piacevole soluzione.
"L’eventuale chiusura con licenziamenti - aggiunge Laini - non dipende infatti da variabili che aziende, lavoratori e sindacato incontrano ogni giorno, purtroppo. Per la K-Flex non è la stramaledetta “crisi” a consigliare una delocalizzazione: a detta di quello stesso amministratore delegato (che solo qualche settimana fa dalle pagine dei giornali dichiarava la buona salute della “sua” multinazionale e poneva obiettivi di ulteriore crescita dei volumi di fatturato) che si è sempre negato ai tavoli di una discussione con lavoratori e sindacato, l’azienda brianzola è leader mondiale, è solida, ha progetti. Non è quindi la “crisi” che porta ai licenziamenti: non una crisi di mercato, non una crisi finanziaria o di liquidità, non un’obsolescenza tecnologica o la scarsa competitività".
Per il segretario della Cgil, insomma, il motivo è evidente: "Semplicemente in Polonia c’è da guadagnare di più. In modo arrogante, con decisione unilaterale, senza confronto, senza spiegazioni, l’azienda prova a svuotare i magazzini e i capannoni, trasferendo produzioni e macchine in Polonia. Provano a mettere i lavoratori di fronte al fatto compiuto, salvo farfugliare pseudo giustificazioni a posteriori quando sono chiamati alle proprie responsabilità".
In tutta la vicenda un'unica consolazione, anche se serve a ben poco: "La gara di solidarietà che si è scatenata sul territorio: lavoratori di altre aziende, sindacati, istituzioni locali, Regione Lombardia, la Chiesa Ambrosiana, persino il Ministero dello Sviluppo dimostrano di aver capito bene. Un’azienda nata qui, costruita con fatica, sorretta dal lavoro brianzolo fino a diventare leader mondiale con produzioni di eccellenza, decide di ripudiare la propria storia, misconoscere le proprie radici, abiurare le responsabilità nei confronti delle famiglie; per qualche dollaro in più. I lavoratori della K-Flex non hanno avuto nessuna alternativa; altro non potevano fare. Sono al freddo, nel disagio giorno e notte, mentre la preoccupazione per i mutui, la scuola dei figli, la fine del mese avanza. Vorremmo che ci fosse giustizia: che la loro lotta vincesse”.
"L’eventuale chiusura con licenziamenti - aggiunge Laini - non dipende infatti da variabili che aziende, lavoratori e sindacato incontrano ogni giorno, purtroppo. Per la K-Flex non è la stramaledetta “crisi” a consigliare una delocalizzazione: a detta di quello stesso amministratore delegato (che solo qualche settimana fa dalle pagine dei giornali dichiarava la buona salute della “sua” multinazionale e poneva obiettivi di ulteriore crescita dei volumi di fatturato) che si è sempre negato ai tavoli di una discussione con lavoratori e sindacato, l’azienda brianzola è leader mondiale, è solida, ha progetti. Non è quindi la “crisi” che porta ai licenziamenti: non una crisi di mercato, non una crisi finanziaria o di liquidità, non un’obsolescenza tecnologica o la scarsa competitività".
Per il segretario della Cgil, insomma, il motivo è evidente: "Semplicemente in Polonia c’è da guadagnare di più. In modo arrogante, con decisione unilaterale, senza confronto, senza spiegazioni, l’azienda prova a svuotare i magazzini e i capannoni, trasferendo produzioni e macchine in Polonia. Provano a mettere i lavoratori di fronte al fatto compiuto, salvo farfugliare pseudo giustificazioni a posteriori quando sono chiamati alle proprie responsabilità".
In tutta la vicenda un'unica consolazione, anche se serve a ben poco: "La gara di solidarietà che si è scatenata sul territorio: lavoratori di altre aziende, sindacati, istituzioni locali, Regione Lombardia, la Chiesa Ambrosiana, persino il Ministero dello Sviluppo dimostrano di aver capito bene. Un’azienda nata qui, costruita con fatica, sorretta dal lavoro brianzolo fino a diventare leader mondiale con produzioni di eccellenza, decide di ripudiare la propria storia, misconoscere le proprie radici, abiurare le responsabilità nei confronti delle famiglie; per qualche dollaro in più. I lavoratori della K-Flex non hanno avuto nessuna alternativa; altro non potevano fare. Sono al freddo, nel disagio giorno e notte, mentre la preoccupazione per i mutui, la scuola dei figli, la fine del mese avanza. Vorremmo che ci fosse giustizia: che la loro lotta vincesse”.
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